La regista Carla Simón, parlando del suo
film "Alcarràs", lo ha definito 'la cronaca di una morte annunciata'. È
difficile darle torto perché è proprio quello che avviene nel suo film
che, come tale, è un'opera di finzione e però basato sui ricordi
personali dell'autrice e sulle notizie della cronaca. Alcarràs è una
cittadina della Catalogna, la famiglia Solé da generazioni coltiva e
raccoglie le pesche. Ora però il proprietario dei terreni su cui sorgono
le piante da frutto, vuole estirparle per realizzare un impianto di
pannelli solari. I Solé coltivano una terra che non è la loro ma che era
stata data in uso al nonno, dal proprietario, Pinyol, per sdebitarsi
dell'aiuto che i Solé gli avevano dato durante la guerra civile del
1936: allora era bastata una stretta di mano ma oggi, il giovane erede
di Pinyol, non esistendo, appunto, un contratto, può riprendersi i
terreni dall'oggi al domani. In realtà offre ai Solé un'opportunità,
quella di occuparsi della gestione del'impianto: 'lavorereste di meno e
guadagnereste di più' butta lì, 'noi siamo contadini non tecnici', gli
risponde a muso duro Quimet il capofamiglia che ha ereditato il lavoro
dal nonno Rogelio che continua a vigilare sul clan familiare e sui suoi
amati frutteti. E quello toccato da Quimet è uno dei punti cruciali del
film: essere contadini, esserlo orgogliosamente anche se è un mestiere
che sta scomparendo. I terreni, come si vede, vengono utilizzati per
altri scopi, la grande distribuzione e i grandi gruppi li strangolano
con una politica folle dei prezzi. Hai voglia a manifestare con i cortei
di trattori come si vede ad un certo punto, a manifestare il proprio
disagio, a lottare per un'equa politica dei prezzi: il futuro,
purtroppo, sembra essere quello. Sì, per i Solé quella sarà l'ultima
estate di raccolto. E allora conviene impegnarsi al massimo comunque,
andare avanti anche se ormai le ruspe sono lì, ad assediare i terreni.
La macchina da presa della giovane regista (classe 1986), filma questa
grande famiglia (gli attori sono tutti non professionisti ma abitanti di
quelle zone scelti tra settemila profili), durante quella, che sarà,
appunto, la loro ultima estate come coltivatori. Li filma quasi come se
la stessa macchina da presa fosse uno dei personaggi, non li scruta da
fuori, ma li 'abita', vive con loro, empatizza con i loro caratteri che,
giocoforza, si scontrano l'uno con l'altro. Racconta le tensioni, gli
scontri ma anche i momenti di gioia, di gioco, le feste e le tavolate
all'aperto in un racconto molto mosso, vivo, vitale, teso, certo, ma
anche a suo modo attraversato da momenti di serenità. A fare da collante
al tutto la banda di 'simpatiche canaglie' dei bambini, i fratelli, i
gemelli, i cuginetti che si inventano ogni giorno un gioco nuovo,
scoprono il paesaggio, scorrazzano nella natura aspra e selvaggia del
posto e, la sera, magari mettono in scena una piccola recita. Anche per
loro, forse, sarà l'ultima estate prima di perdere l'innocenza: quella
stessa innocenza che la natura ha già perso, violentata dal 'progresso'.
Un film corale, un affresco, una polifonia di voci che Carla Simón
orchestra e dirige con grande mestiere, alternando i punti di visti dei
protagonisti, mettendo un accento particolare su quelli femminili,
donne, mamme, nonne, bambine, che tengono vivo il tessuto relazionale
della famiglia nel momento in cui, come ha spiegato la regista 'la
famiglia è sul punto perdere la propria identità collettiva'. Un mondo
quello dei Solé (e di tanti come loro) che è, per dirla con Nuto Revelli,
'il mondo dei vinti'. Ma forse sono dei 'perdenti di successo' perché
alla fine, la terra è di chi la lavora, o no?
L'Eco di Bergamo - Andrea Frambrosi - 31/05/2022
Il teatro dell'azione, che dà titolo al film co-prodotto dall'Italia con
Giovanni Pompili per Kino Produzioni, è Alcarràs, una località rurale
della Catalogna, dove la famiglia dei protagonisti è da generazioni
dedita alla coltivazione delle pesche. Mentre nei frutteti, sotto il
sole bruciante dell'estate, si consumano i rituali del raccolto,
all'orizzonte si profilano segnali preoccupanti per il futuro. Da un
lato, l'anziano patriarca non riesce a produrre documenti scritti che
comprovino accordi verbali in essere da decenni tra la sua famiglia e
quella dei proprietari terrieri che hanno loro affittato i terreni che
coltivano. Dall'altro, Qumet, figlio del patriarca e attuale guida della
famiglia, non si rassegna all'idea che la coltivazione delle pesche a
cui ha dedicato la vita sia rimpiazzata da complessi di pannelli solari,
come vorrebbe l'erede della famiglia dei proprietari. In questo contesto
di latente e inesplosa tensione, la generazione più giovane della
famiglia vive una stagione di maturazione: il maggior Roger aiuta il
padre nel lavoro, cercando la sua approvazione e incontrando invece
continui rimproveri, la quasi adolescente Mariona osserva e ascolta
quanto la circonda con apparente impassibilità, mentre si prepara ad uno
spettacolo di ballo per la festa di paese, mentre la piccola Iris vede i
propri giochi infantili con i cugini gemelli Pau e Pere bruscamente
interrotti dalle crescenti ostilità tra i familiari adulti.
Carla Simón sceglie di non privilegiare un singolo punto di vista sulla
vicenda. Affida invece equamente le redini del racconto ai suoi
personaggi, con una predilezione per ragazzi e bambini. Ne discende un
andamento trattenuto, che evita svarioni drammatici, mantenendo una
cristallina trasparenza della progressione drammaturgica. Per alcuni,
questa delicatezza potrà sembrare mancanza di polso. Ma il naturalismo e
la semplicità con cui Carla Simón rende partecipi di una realtà a cui è
prossima (lei e la sua famiglia sono originari di quelle terre) porta lo
spettatore ad amalgamarsi progressivamente con gli spazi e il lavoro che
illustra. E quietamente, porta a condividere appieno il silenzio e gli
sguardi che soggiacciono al dramma trattenuto che si consuma nel finale.
Rivista del Cinematografo - Paolo Bertolin - 17/02/2022 |