Kim Rossi Stuart è senza dubbio uno dei
migliori attori italiani contemporanei. Diventato popolare molto
giovane, non ha mai inflazionato la propria immagine, scegliendo bene i
progetti da interpretare e avventurandosi dietro la macchina da prese
per opere personali e riuscite, come "Anche libero va bene" e "Tommaso".
Alla terza regia, Rossi Stuart alza ancora le ambizioni con un
lungometraggio che prosegue il filo degli altri due, cominciando
dall'attribuzione dei nomi ai personaggi e passando alle tematiche
affrontate. Tommaso (il bravo Saul Nanni) è un giovane che lavora
nell'edilizia acrobatica e sembra soddisfatto della sua scelta, non
volendo più avere a che fare con il padre Renato (interpretato dal
regista stesso), che gestisce un maneggio che si chiama "Il Brado". Dopo
un infortunio del padre, il giovane dovrà però aiutarlo nella gestione
dell'azienda e anche nell'addestramento di un cavallo irrequieto e ‘matto’,
quanto promettente nel salto a ostacoli. Domare l'equino è come
raddrizzare un rapporto da sempre squilibrato, con un padre scorbutico,
dai modi bruschi, duro, che tende a imporre la propria volontà.
Dall'altra un figlio che, come la sorella Viola, ha cercato la propria
strada lontano da là, libero da un genitore opprimente che ha
allontanato pure la moglie Stefania (Barbora Bobulova). Ha un sapore
dichiaratamente western, esistenziale e un po' malinconico,
all'americana, questo "Brado", che omaggia direttamente Clint Eastwood
senza timori e senza retorica e prendendone anche un tocco di
romanticismo, andando a inserirsi nel solco ben tracciato dei cowboy
fedeli a sé stessi fino in fondo, anche quando si sentono dei perdenti.
La fotografia di Matteo Cocco molto a creare questa atmosfera sempre
giusta e coerente con la storia, con uno stile molto classico e di ampio
respiro, mentre le musiche e le canzoni completano l'evocazione del West
statunitense. Il confronto scontro tra padre e figlio è il nucleo
portante del film come già i precedenti del regista, dove a fare da
legante c'è una passione, il calcio in "Anche libero va bene", i cavalli
in questo caso: nella complessità del rapporto si trovano il voler
forgiare l'altro, il volersene liberare, il cercare di imparare dagli
errori altrui, il sentirsi irrisolti per le scelte sbagliate. Nella
dinamica si introduce anche Anna, la bella e concreta addestratrice. Il
film risulta all'altezza degli intenti nella forma e nella fattura, cosa
spesso non scontata nel cinema italiano, ma è forse un po' prevedibile
negli eventi e, per alcune cose, lascia una sensazione di già visto,
sebbene sia anche ben scritto (dal regista e attore con Massimo
Gaudioso). Anche la pellicola va un po' brada, si prende tempi dilatati
e forse il limite sta in qualche digressione o divagazione, soprattutto
della seconda parte, che la porta un po' a ripetersi.
Resta comunque l'opera matura di un regista ancora in crescita e che sa
dove andare, a differenza di altri suoi colleghi più celebrati: Rossi
Stuart si dirige bene davanti alla camera e sceglie (o riconferma, come
nel caso della Bobulova) gli interpreti giusti per affiancarlo.
L'Eco di Bergamo - Nicola Falcinella - 21/10/2022
Terza prova da regista per Kim Rossi Stuart. Dopo "Anche libero va bene"
(2006) e "Tommaso" (2016) l'attore torna nuovamente dietro la macchina
da presa con un western esistenziale che racconta la storia di un padre
e di un figlio.
S'intitola "Brado" e vede protagonista insieme a Kim, nel ruolo di
Renato, un padre scomodo, scorbutico e ingombrante, anche Saul Nanni,
nel ruolo di suo figlio Tommaso. Un ragazzo costretto dagli eventi a
mandare avanti il ranch di famiglia e ad addestrare al posto del padre
un cavallo recalcitrante con lo scopo di farlo vincere a una
competizione di cross-country.
Scritto a quattro mani dallo stesso Kim Rossi Stuart coadiuvato da
Massimo Gaudioso e tratto dal racconto 'La lotta' contenuto nella
raccolta 'Le guarigioni', sempre di Kim Rossi Stuart, edito da La nave
di Teseo, il film fa parte di un'ideale trilogia ('Il mio primo film era
sulla pancia, il secondo sul cervello e questo sui polmoni', dice il
regista) e di fatto i nomi dei suoi personaggi sono sempre quelli:
Renato, Tommaso, Stefania (Barbora Bobulova).
Perfetto Kim Rossi Stuart nel tratteggiare il suo Renato, stanco e
affaticato, acciaccato, brutale nei confronti del figlio ('Hai avuto il
padre orco, eh!'). Un uomo solo, abbandonato dalla moglie Stefania, che
si difende dagli urti della vita con il suo caratteraccio. Intrattabile,
come il cavallo Trevor, che insieme al figlio provano in tutti i modi ad
addestrare e a far diventare meno bizzoso.
Selvaggio, di poche parole, questo 'Clint Eastwood dei poveri' poco
esterna i suoi sentimenti, e se vede qualcuno che prova queste 'cazzate
per gente debole', come suo figlio, lo sminuisce: 'Non fare il fagiano
innamorato!'. I confini non sono però mai così netti, gli ostacoli si
possono superare, gli orizzonti si possono ampliare e un figlio può
arrivare ad educare non solo un cavallo, ma (compito ben più arduo) un
padre ai sentimenti (o meglio all'espressione degli stessi). Quello di
Kim è un film semplice, ma non banale.
Schietto e profondo, che passa dai toni ironici al dramma, non perdendo
mai la sua natura e la sua verità. Lo sport, la gara, il complesso di
Edipo e la relativa ricerca della propria identità, ma anche una
riflessione sulla morte e sulla vita in qualche modo speculare a quella
di "Million Dollar Baby" (e torna Clint Eastwood), ne fanno un film
commovente che dimostra come Kim Rossi Stuart sia un autore libero e
vero. In una parola, cambiando semplicemente una lettera: non "Brado",
ma bravo.
Rivista del Cinematografo - Giulia Lucchini - 20/10/2022 |