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Titolo originale:
Zimma wojna
Regia e soggetto: Pawel Pawlikowski
Sceneggiatura: Pawel Pawlikowski, Janusz Glovacki, Piotr
Barkowski
Fotografia: Lukasz Zal
Montaggio: Jaroslaw Kaminski
Musica: Marcin Masecki
Scenografia: Marcel Slawinski, Katarzina
Sobanska-Strzalkowska, Benoit Barouh. Costumi: Ola Staszto.
Interpreti: Joanna Kulig (Zuzana "Zula" Lichon), Tomasz
Kot (Wiktor Warski), Borys Szyc (Lech Kaczmarek), Agata Kulesza (Irena
Bielecka), Cédric Kahn (Michel), Jeanne Balibar (Juliete)
Produzione: Ewa Puszczynska, Tanya Seghatcian, Malgorzata
Bela ecc
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 89'
Origine: Polonia/Fra/GB, 2018 |
Qualcuno ricorderà nella stagione
2014-15, "Ida" uno splendido film in bianco e nero nel formato quadrato
(non quello tradizionale a cui siamo abituati) che raccontava, nella
Polonia degli anni '60, di una diciottenne e della sua vocazione al
convento. Cinque anni dopo ripresentiamo lo stesso regista, Pawel
Pawlicowski, con un film girato nella stessa rigorosa modalità, già
colmo di premi e candidato all'Oscar 2019 per la Polonia, "Cold War",
che parte anch'esso dalla Polonia. Zula e Wictor si conoscono nella
Polonia del dopoguerra ridotta in macerie. Provenendo da ambienti
diversi e avendo temperamenti opposti, il loro rapporto è complicato,
eppure sono fatalmente destinati ad appartenersi. Negli anni '50,
durante la Guerra Fredda, in Polonia, a Berlino, in Yugoslavia e a
Parigi, la coppia si separa più volte e più volte si reincontra per
ragioni politiche, per difetti caratteriali o solo per sfortunate
coincidenze: una storia d'amore impossibile in un'epoca difficile. A
riassumerlo il magnifico "Cold War" sembra una versione esteurpea di "A
star is Born" (ricordate Lady Gaga e Bradley Cooper che concludevano la
nostra passata rassegna): musicista scopre giovane dalla voce sublime,
ne è sedotto, la seduce, cerca di farne una stella…Solo che non siamo
negli Usa ma in Polonia, nel 1949. La guerra è finita da poco, le
campagne sono battute da esperti a caccia di musica popolare come
accadeva anche da noi e in America. Il problema è che in patria fare
carriera significa camuffarsi da contadina e cantare per il regime. La
felicità è altrove. Questo almeno pensa Wictor che al primo concerto a
Berlino organizza la fuga. Solo che Zula non lo segue. La ragazza, che
forse ha ucciso il padre incestuoso, sta bene dov'è, usata e coccolata.
Così dagli anni '50 al 1964 sarà tutto un inseguirsi nei luoghi già
citati fra locali jazz e star system socialista, tentazioni e
umiliazioni (fare l'esule a Parigi non e poi così semplice). Tutto senza
lungaggini o sentimentalismi ma con un taglio secco molto personale, e
immagini sempre dense e sorprendenti, a volte incantevoli, soprattutto
nel blocco orientale. L'amore impossibile di Wictor e Zula si perde
nello sforzo titanico di attraversare confini sempre più asfittici e
tracciati nella logica di ideologie incompatibili, dalla Germania alla
Francia alla Jugoslavia, ricomponendosi soltanto in momenti
cristallizzati, fuori dalla storia, in stanzette languidamente adibite a
nidi d'amore per un rapporto maledetto dalla provvisorietà. La stessa
provvisorietà, personale e pubblica, di un continente che sembra essersi
perso in divisioni antiche, che paga l'essersi piegato a un dopoguerra
che è esistenziale prima ancora che politico. La "Guerra Fredda" del
titolo è quella che divide l'Europa ma, come per un effetto domino,
ammala anche i suoi protagonisti, divisi da una cortina meno palpabile
di quella di ferro che frattura il continente ma altrettanto
invalicabile e cupa. Pawlikowaki dedica il film ai suoi genitori, il cui
contrastato rapporto riflette quello dei suoi protagonisti, ma mette
piuttosto in scena una sequenza di tradimenti ipotetici, di sospetti, di
variazioni, di riscritture delle vicende pubbliche e private all'ombra
di un'Europa in perenne e fluida mutazione in quello sventurato scorcio
di '900. |