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Titolo originale: id
Regia e Sceneggiatura: Sebastian Lelio
Soggetto: Sebastian Lelio, Alice Johnson Boher, dalla
sceneggiatura di Sebastian Lelio e Gonzalo Maza per il film "Gloria"
(2013)
Fotografia: Natasha Braier
Montaggio: Soledad Salfate
Musica: Mattew Herbert
Scenografia: Dan Bishop
Costumi: Stacey Battat
Interpreti: Julianne Moore (Gloria), John Turturro (Arnold),
Michael Cera (Peter), Caren Pistorius (Anne), Brad Garret (Dustin),
Jeanne Tripplehorn (Fiona), Barbara Sukowa (Melinda)
Produzione: Sebastian Lelio, Julianne Moore, Pablo Lorrain
ecc
Distribuzione: Cinema
Durata: 102'
Origine: Cile/USA, 2018. |
Il regista cileno Sebastian Lelio è il
primo nel suo Paese ad aver vinto l'Oscar, nel 2018 con "Una donna
fantastica", per il miglior film in lingua straniera. Questo suo ultimo
"Gloria Bell" non è altro che la rivisitazione americana del suo quasi
omonimo "Gloria" del 2013. Siamo a Los Angeles e la cinquantottenne
divorziata Gloria Bell, con un buon lavoro e figli adulti persino troppo
indipendenti, la sera va a ballare con amiche e conoscenti, è affamata
di vita ma consumata dalla solitudine. Una figura sbiadita agli occhi
degli altri, in cerca delle attenzioni che le mancano. La figlia si
innamora di un surfista venuto dalla Norvegia, che viene presentato a
Gloria in una sequenza in cui, come in altre situazioni, non le viene
dato spazio, mentre il tempo scorre veloce e sembra metterla in ombra.
Quando la donna conosce Arnold, anch'egli transfuga da un matrimonio
finito, sembra esplodere la passione e con esso la speranza di un futuro
insieme. Arnold è però separato in casa, con due figlie spregevoli che
lo ricattano ed ha subito un intervento chirurgico che lo ha messo alla
prova. Come nei film precedenti, dunque, il regista cileno prosegue il
suo discorso sull'emancipazione femminile, di cui coglie,
nell'appassionato ritratto di Gloria, gli stimoli e le frustrazioni, ora
calati in un'ambientazione differenti rispetto all'originale del 2003.
Lelio conserva i tratti principali del precedente film, regalando alla
vicenda una dimensione più elegante e internazionale che non cela il
gusto raffinato per i dettagli, in un remake fortemente voluto da
Juliane Moore che compare anche fra i produttori esecutivi. Ma mentre,
nel film del 2013, i dettagli passavano allo spettatore attraverso lo
sguardo di Paulina Garcia - che recava una più immediata caducità fisica
la personaggio e restituiva la malinconia di fondo del suo personaggio
nel suo sorriso forzato e tenero - in "Gloria Bell" l'interpretazione di
Juliane Moore sottolinea l'attualità della condizione di una
protagonista che il regista vuole in alcuni momenti far assurgere ad
emblema. Nel suo quotidiano, tra intemperanze e incomprensioni che sono
anche l'esito di disillusioni e di troppo investimento negli altri,
Gloria comprende, con la sua grinta ed il silenzioso coraggio, come
possa essere importante "ballare da sola" senza perdere speranza
nell'amore. Le sue fragilità non la condannano come sarebbe potuto
accadere in passato a tante donne a cui il precedente 'Gloria' faceva
riferimento. Questa volta Gloria "danza" (in tutti i sensi) in un
contesto in cui la subordinazione femminile è un costume che si vuole
scongiurato, tanto che a un certo punto la donna, dinanzi alle fughe e
alle assenze di Arnold che non dimostra il coraggio che occorrerebbe per
liberarsi dal passato, in un gesto di rabbia, surreale e liberatorio,
gli spara e lo imbratta con un fucile giocattolo, umiliandolo davanti
alla casa in cui l'uomo si sente costretto a fare il servizievole servo
delle ingrate figlie. Alla fine il tema dell'emancipazione femminile
emerge e si palesa, per la protagonista, nel ritrovarsi a ballare la
canzone omonima di Umberto Tozzi (nella versione di Laura Branigan), che
invece di sottolineare un momento Kitch, enfatizza il luogo e il tempo
in cui Gloria trova la forza per rimettersi in gioco. |