Dal grandissimo Yasujiro Ozu ("Viaggio a
Tokyo" e tanti altri capolavori) in poi, il cinema giapponese ha una
lunga tradizione nel raccontare i nuclei e i legami familiari. Il caso
più recente è "Love Life" di Koji Fukada, presentato in concorso alla
79° Mostra di Venezia e uscito nelle sale nelle scorse settimane.
L'esponente più alto di questo filone nel panorama contemporaneo è
Kore-eda Hirokazu, vincitore della Palma d'oro nel 2018 con "Un affare
di famiglia - Shoplifters".
Il suo lavoro più recente "Le buone stelle - Broker" è passato a maggio
in competizione al Festival di Cannes, dove ha riportato il premio di
miglior attore per Song Kang-Ho, e arriva ora da noi. Stavolta il
giapponese è in trasferta coreana a Busan, per questo la scelta come
protagonista di uno dei volti più rappresentativi del cinema coreano,
noto per "Parasite" e collaboratore di lungo corso anche di Park
Chan-Wook.
Siamo a Busan e, sotto la pioggia, la giovane prostituta So-Young
abbandona davanti a una chiesa il figlio neonato dopo aver ucciso una
persona. Il bambino è recuperato da due 'intermediari' che vogliono
rivenderlo. Più tardi la madre si rifà viva per riprendersi la creatura,
ma sorprendentemente si unisce ai due, che già si stanno occupando di un
altro bambino senza genitori, e insieme cercano una coppia a cui cedere
il piccolo. Nel corso di un viaggio surreale, il gruppo incontra varie
coppie candidate, nessuna delle quali affidabile: o trovano difetti nel
bambino, o non pagano abbastanza, o sono coppie finte e vogliono
rivenderlo. I trafficanti sono nel mirino di due poliziotte che li
pedinano e finiscono per rimproverare la giovane per l'abbandono del
neonato. 'Avrei dovuto abortire?' replica l'interessata. Così si compone
una strana famiglia senza legami molto alla Kore-Eda, fatta di persone
che stanno insieme per interesse, comodo o sentimenti indefinibili, di
unioni non basate sul sangue. Kore-eda torna su temi, come la maternità
e la paternità inseguite o rifiutate, che gli sono cari ed esplora ogni
volta in maniera diversa e sempre profondamente umanista e comprensiva
verso tutti. Lo stile del regista giapponese è riconoscibile, semplice,
efficace, riesce a raccontare una società e i tanti modi di intendere (o
fingere) una famiglia. Kore-Eda sa disegnare personaggi anche
sgradevoli, anche riprovevoli, con i quali è però impossibile non
empatizzare e che sanno emozionare lo spettatore. Forse "Le buone
stelle" può risultare un po' 'già visto' dentro il cinema del regista,
ma sempre profondamente umanista e comprensivo verso tutti, soprattutto
chi è ai margini della società o in difficoltà, tanto che a Cannes ha
ricevuto il premio della Giuria ecumenica. Il film è un'ottima prima
occasione per avvicinarsi a uno dei più grandi e sensibili cineasti di
oggi e non deluderà chi già lo conosce e lo apprezza. Non sarà magari il
suo migliore, non al livello dello spiazzante "Un affare di famiglia",
ma è un pensiero che lascia il tempo che trova: "Le buone stelle", con i
suoi toni agrodolci da commedia combinata con il dramma, sono il miglior
viatico per tornare al cinema e trovarci un'ispirazione positiva in
questi frangenti difficili.
L'Eco di Bergamo - Nicola Falcinella - 14/10/2022
L'ottavo film in Selezione a Cannes e il sesto in Concorso per il
cineasta giapponese Kore-Eda Hirokazu, vincitore della Palma d'Oro nel
2018 per "Un affare di famiglia", Premio della Giuria nel 2013 per il
suo capolavoro "Like Father, Like Son", e in palmares anche con "Nobody
Knows", valso a Y?ya Yagira il premio come miglior attore nel 2004. Con
"Broker" affronta l'impatto dell'abbandono di neonato, ambientando il
film in Corea del Sud, la seconda volta dopo "Truth" del 2019. La
famiglia, nonché l'attenzione ai giovanissimi, è un leitmotiv: in "Nobody
Knows" c'erano quattro bambini abbandonati dalla madre, nella Palma "Shoplifters"
il taccheggio familiare degli Shibata, qui si recede alla culla,
esplorando il tema delle scatole per neonati, dove i bambini possono
essere abbandonati, apparse per la prima volta a Seoul nel 2010 su
iniziativa di un pastore.
L'inasprimento della legge coreana sull'adozione, che obbliga le madri
single a identificarsi, ha potenziato il fenomeno, sicché Kore-eda s'è
deciso per girare in Corea e, dunque, in coreano, complici Song Kang-ho,
protagonista di "Snowpiercer" (2013) e "Parasite" (Palma d'Oro, 2019), e
Bae Doo-na, che ha recitato nei film di Park Chan-wook e delle Wachowski.
"Broker" segue due 'mediatori di buona volontà', Sang-hyun (Song Kang
Ho) e Dong-soo (Gang Dong Won), che collegano i bambini indesiderati con
i nuovi genitori sul mercato nero. Quando l'ennesimo pargolo viene
lasciato in una notte di pioggia, Sang-hyun e Dong-soo intraprendono un
viaggio per incontrare potenziali mamme e papà, ma dovranno fare i conti
con la madre biologica (Lee Ji Eun), che si presenta inaspettatamente
per unirsi all'avventura.
La tragedia trova la grazia, il dramma l'umorismo, l'abbandono una
famiglia allargata, disfunzionale ma piena di accudimento, in cui avrà
residenza persino la polizia: accade nel mondo di Kore-eda, che non
distoglie lo sguardo dai problemi e dalle miserie, ma nemmeno dalla
solidarietà e dalla - possibile? - felicità. 'Volemose bene'? Anche, ma
con stile, pudicizia, rigore e, sì, grazia.
La realtà come medio proporzionale tra necessità e virtù, la fiducia
nell'umano con il mondo per ipoteca, il cinema come possibilità di
incontro e incanto: non è il suo miglior film, "Broker", ma ha senso e
ha pregio. Ancor più in questa deludente Cannes. Kore-eda continua a
ricordarci che tra 'nature' e 'nurture' maternità e paternità stanno
nella seconda, che oltre alla legge e la biologia c'è di più, di meglio:
la solidarietà umana, dalla culla e per sempre. E poi, facciamocela una
domanda: un'omicida sta abbandonando o garantendo un futuro migliore?
Kore-eda Hirokazu è stato insignito del Premio Robert Bresson a Venezia
2022.
Rivista del Cinematografo - Federico Pontiggia - 26/05/2022 |