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Regia: Bong Joon Ho
Interpreti: Song Kang-ho (Ki-Taek), Sun-Kyun Lee (Signor
Park), Choi Woo-Sik (Ki-Woo), Hyae Jin Chang (Chung-Sook), Park So-Dam (Ki-Jung)
Genere: Drammatico
Origine: Corea del Sud
Anno: 2019
Soggetto: Bong Joon Ho
Sceneggiatura: Han Jin Won, Bong Joon Ho
Fotografia: Kyung-Pyo Hong
Montaggio: Jin-mo Yang
Durata: 131'
Produzione: Young-Hwan Jang, Kwak Shin-Ae per Barunson
E&A, CJ Entertainment
Distribuzione: Academy Two |
Il cinema, come la vita, è una questione di
sguardo: la famiglia di Kim Ki-taek, in quel di Seoul (papà, mamma, un
figlio e una figlia) guarda la vita dal basso verso l'alto. Vivono
ammassati in un lurido scantinato dove, tutti disoccupati, sbarcano il
lunario con piccoli lavoretti tipo piegare i cartoni della pizza (ma gli
riesce male anche quello). Guardano invece la vita dall'alto (della loro
ricchezza) al basso i componenti della famiglia Park, anch'essa
composta, specularmente a quella povera, da papà, mamma, un figlio e una
figlia.
Dall'unica finestra del suo scantinato, la famiglia di Kim vede il bordo
stradale di un lurido vicolo su cui si affaccia e dove l'ubriaco di
turno espleta i propri bisogni; dalla grande vetrata della loro villa, i
Park godono della vista del loro bellissimo giardino 'zen', curato nei
minimi dettagli.
La regia di Bong Joon-ho, regista coreano del sud che con questo
"Parasite" ha vinto la Palma d'oro al Festival di Cannes del 2019, mette
in relazione quei due mondi: quello dei poveri, degli emarginati, senza
un lavoro (anche se quella di Kim è una famiglia molto affiatata che
affronta la vita con una certa leggerezza) e quella dei super ricchi
che, almeno per quanto riguarda i beni materiali, non si fanno mancare
niente. La trovata geniale del film è però quella di far collidere quei
due mondi non semplicemente accostandoli in una generica 'lotta di
classe' (componente che esiste, naturalmente), ma utilizzandoli per
scrivere un nuovo capitolo del rapporto tra servo e padrone. In seguito
ad una serie di situazioni, infatti, il figlio di Kim Ki-taek, diventa
l'insegnante privato della figlia dei Park; il ragazzo poi riesce, man
mano, a fare assumere nella famiglia anche sua sorella come esperta di
arte-terapia per accudire il figlio minore dei Park, poi suo padre come
autista e sua madre come governante fingendo però di essere degli
estranei. È in questa fase, in questo momento che il cinema di Bong
assume una valenza che potremmo definire 'biologica', una regia che
scruta cioè il microcosmo delle due famiglie con lo stesso sguardo con
cui uno scienziato scruterebbe al microscopio un organismo fagocitarne
un altro. Come un parassita, infatti, 'l'organismo' della famiglia
povera si impossessa, via via, dell'altro organismo arrivando, ad un
certo punto, a sostituirsi ad esso.
Come ne "Il servo", film di Joseph Losey sceneggiato da Harold Pinter da
un romanzo di Robin Maugham, ad un certo punto i ruoli di servo e
padrone sembrano ribaltarsi, ma è solo un attimo perché, la famiglia
povera, aggredendo come un 'saprofita' l'organismo di quella dei ricchi,
ne provoca il disfacimento e con quello, anche il proprio. In natura
infatti il saprofita si nutre di materia organica in decomposizione,
così come accadeva nel forse dimenticato film "Il saprofita".
(1974), appunto, di Sergio Nasca (già assistente di Marco Bellocchio),
il protagonista portava alla luce il marciume di una società i cui
valori erano solo legati al denaro, al sesso e al potere. Ma quello di
Bong è un film che gioca bene anche la carta della black comedy, della
commedia nera che solo nel finale si concede una deriva splatter che
sancisce la definitiva perdita di identità dei rispettivi nuclei
familiari. |