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Titolo originale: id
Regia: Louis-Julien Petit
Interpreti: Audrey Lamy (Cathy Marie), François Cluzet
(Lorenzo Cardi), Chantal Neuwirth (Sabine), Fatou Kaba (Fatou), Yannick
Kalombo (GusGus)
Genere: Commedia/Drammatico
Origine: Francia - Anno: 2022
Soggetto: Louis-Julien Petit, Liza Benguigui, Sophie Bensadoun
Sceneggiatura: Louis-Julien Petit, Liza Benguigui, Sophie
Bensadoun
Fotografia: David Chambille
Musica: Laurent Perez del Mar
Montaggio: Nathan Delannoy, Antoine Vareille
Durata: 97'
Produzione: Liza Benguigui per Odyssée, France 3 Cinéma, Apollo
Films
Distribuzione: I Wonder Pictures, in collaborazione con Unipol
Biografilm Collection |
La quarantenne aiuto chef Cathy (Audrey Lamy)
sogna di avere un suo ristorante, ma litiga con la padrona di quello in
cui lavora, Lyna Deletto, nota soprattutto per le sue ospitate
televisive, e si ritrova senza impiego. Insieme all'amica aspirante
attrice Fatou, cui si rivolge ogni volta in caso di bisogno, cerca nuove
opportunità e si presenta a un colloquio. Non si tratta di ciò che
auspicava, ma, in mancanza di meglio, accetta per un periodo di
occuparsi della mensa per minori migranti in attesa del permesso di
soggiorno. In cucina c'è il disastro, i ritmi dei ragazzi (interessati
al calcio e poco più) mal si adattano a quelli della ristorazione,
l'aiutante Sabine è un'ammiratrice di Deletto e questo irrita subito la
protagonista. Tra gli ospiti solo il simpatico e intraprendente Gustave
sembra ben disposto verso la nuova venuta, mentre l'arrogante aspirante
calciatore Djibril si rifiuta di riconoscerla in quanto donna. Presto
Cathy si accorge che, per quanto sia temporanea la sua permanenza, il
compito non può limitarsi a mettere i pasti in tavola, ma pure aiutare i
giovani a ottenere l'agognato permesso di soggiorno, istituendo una
scuola di cucina nella comunità. Per farlo dovrà passare dal reality
televisivo 'The Cook', la cui formula è oggetto di ironie nel film, che
però ne assorbe un po' il linguaggio visivo. 'Sì, chef!' è un po' il
grido di battaglia nel ristorante e lo diventa anche nella 'brigata', la
comunità di ragazzi.
La gerarchia della cucina si modera nel centro d'accoglienza e la cuoca
diventa piuttosto un'insegnante e un punto di riferimento, non a caso la
pellicola somiglia ai tanti buoni film francesi sul mondo della scuola.
Per accenni emergono le storie e i sogni degli ospiti e pure la vicenda
di Cathy, cresciuta in orfanotrofio prima di avere la possibilità di
lavorare. Tutti potranno scoprire qualcosa di sé stessi e provare a
migliorarsi, in un film realista ma non pessimista, che non piacerà a
chi è ossessionato dai rimpatri degli stranieri e chiude gli occhi
davanti alle loro drammatiche vicende. Petit non vuole farci chiudere
gli occhi e sa come raccontare una storia, aggiungendo anche una
necessaria dose di retorica, ma senza esagerare, bensì sottoponendo i
personaggi allo sguardo protettivo di Proust e delle sue 'madeleine'.
"Sì, chef!" nella struttura somiglia a "Le invisibili", riprendendone la
bravissima Audrey Lamy come perno principale: c'è forse qualche
forzatura nel far quadrare tutti gli elementi della trama e al regista
interessa più regalare un po' di speranza che passare alla storia del
cinema, ma le buone intenzioni per una volta portano a un film
apprezzabile.
L'Eco di Bergamo - Nicola Falcinella - 09/12/2022
'Sì, chef!' è l'affermazione che i componenti di una brigata di cucina
ribattono al proprio superiore in segno di subordinazione e rispetto.
Replica comune nel gergo della ristorazione, tale esclamazione, nel film
di Louis Julien-Petit, oltre ad esserne il titolo (aggiunta
all'originale "La brigade") assume un valore più sfaccettato, divenendo
figurazione di riscatto, aspirazione e ricercata completezza personale.
La storia è quella di Cathy (Audrey Lamy), una sous-chef determinata ed
appassionata. Lavora nel celeberrimo locale della chef-star Lyna Deletto,
volto noto della televisione e dei reality di cucina, ma il suo sogno è
quello di aprire un ristorante in cui poter esprimere sé stessa senza
alcuna ingerenza e prevaricazione da parte di chi sembra essere più
interessato all'apparire che all'importanza che il cibo può attribuirsi.
La strada verso l'obiettivo è impervia e Cathy sarà costretta a dover
fare i conti con le problematicità di un mestiere dal quale inizia a
percepire solo frustrazione e avvilimento. Dopo l'ennesimo atto di
culinaria prepotenza, Cathy lascerà quel posto per cercare di realizzare
il suo desiderio più grande. Ma come sempre accade, per concretizzare
un'ambizione, bisogna risalire la china e per questo accetterà, con
riluttanza, il lavoro da cuoca in quella che scoprirà essere la mensa di
un centro di accoglienza per giovani migranti, gestito dal risoluto
supervisione Lorenzo (François Cluzet).
Inizialmente per nulla convinta e riluttante, riuscirà in breve tempo a
familiarizzare con i ragazzi insegnandogli la passione per la cucina,
prendendosi cura di loro e instaurando uno scambio di sincero affetto e
vicendevole arricchimento. Do ut des caratterizzato dall'amore per la
cucina, con le sue strutturali ritualità, e dal far prendere
consapevolezza sulla tematica dell'immigrazione grazie a storie colme di
speranza di rifugiati 'in attesa di giudizio'.
C'è chi vuole diventare il nuovo Ronaldo o chi desidera studiare o
cucinare per un restaurant stellato: diversi nella destinazione, uguali
nella volontà di riscattarsi nonostante l'opprimente data di scadenza
(non superare la maggiore età, pena l'espulsione) percepita come spada
di Damocle che li costringe a sentirsi perennemente precari ed estranei
in una realtà respingente e crudele. Cognizione che finirà persino per
farli apparire in telediffusione. Lo scopo? Far conoscere le dinamiche
governative sui rimpatri e per dare volto a poveri ragazzini divenuti
adulti, loro malgrado, e considerati 'sfruttatori' dai più privilegiati.
A tenere tutto legato, il mangiare, nel suo essere convivialità,
condivisione e quella 'madeleine de Proust', evocatrice di ricordi
passati e di sapori familiari di cui sentire nostalgia. Come nel lavoro
precedente, "Le invisibili", il regista si concentra sull'attualità e
sull'urgenza dell'argomento tramite una tenera commedia sociale, priva
di patetismi, in cui la leggerezza dell'humour d'oltralpe si coniuga
alla calibrata eppure evidente militanza e disobbedienza civile. Una
denuncia raffinata all'inumana retorica populista infarcita di slogan
astiosi ed incapace di provare empatia e vicinanza.
Rivista del Cinematografo - Miriam Raccosta - 06/12/2022 |