L’eruzione del Vesuvio, in uno scenario di
spettacolare suggestione, con il bagliore delle fiamme che squarcia
l’oscurità della notte, accompagnata dalla voce di Elio Germano che
recita i versi di una delle più sublimi composizioni di Giacomo
Leopardi, La ginestra: questa è l’ultima, emozionante sequenza de Il
giovane favoloso, il film scritto e diretto da Mario Martone a quattro
anni di distanza dai consensi riscossi con Noi credevamo, e proiettato
in concorso all’ultima Mostra del Cinema di Venezia. Un ritratto del
magnifico poeta di Recanati, dallo “studio matto e disperatissimo”
dell’infanzia e dell’adolescenza fino agli ultimi giorni di vita in una
Napoli devastata dal colera, che aggira il didascalismo tipico delle
convenzioni dei film biografici grazie alla sua capacità di esplorare la
complessità della poetica leopardiana.
Il Leopardi ritratto da Martone è impersonato, va detto subito, da un
Elio Germano misurato e ispirato, assolutamente ammirevole per il
livello di intensità e di immedesimazione che sembra aver interiorizzato
il dramma umano del poeta: la sua prova attoriale, aiutata da un lavoro
sul corpo incredibile, a cominciare dalla postura e dalla camminata, è
uno dei punti di forza del film, insieme alla colonna sonora, che unisce
pezzi classici a musiche moderne, dando così la sensazione che non si
stia parlando di un personaggio polveroso e confinato in una precisa
epoca, ma di un uomo il cui vissuto ha valore universale.
Ma Il giovane favoloso, al di là del racconto biografico (dalle viuzze
fredde e nebbiose di Recanati alle stanze della casa paterna, dal
conflittuale rapporto fra un Giacomo ancora ragazzo e l’esigente padre
Monaldo, all’origine del legame di ammirazione reciproca con lo
scrittore piacentino Pietro Giordani, colui che per primo intravide
l’enorme talento del giovane Leopardi) e delle fugaci (ma impeccabili)
citazioni di alcuni tra i versi più celebri e significativi della
produzione leopardiana, è un’opera in grado di distinguersi anche per
l’encomiabile funzionalità di una messa in scena che aderisce quanto più
possibile alla prospettiva del protagonista, innescando una tensione
drammatica che scorre latente lungo tutto l’arco del film.
Martone è ben consapevole dei luoghi comuni che circondano Leopardi e
della scarsa conoscenza della sua opera e, da artista sensibile quale è,
ha trovato la miglior chiave di lettura possibile per rendere giustizia
a una figura che merita di essere approfondita e amata: distaccandosi
dal semplice biopic, che correva il rischio di essere troppo
didascalico, il regista ha messo in scena la vita di Leopardi seguendo
sì la sua biografia, alternandola però alla lettura di alcune delle sue
opere più importanti accompagnate da immagini e visioni che sembrano
scaturite direttamente dalla mente del poeta, come se sullo schermo
fosse illustrato il momento della creazione della poesia.
Il film, anche se non è esente da imperfezioni (migliore la prima parte
ambientata a Recanati, cala un po’ quando la scena si sposta a Firenze),
è uno dei film più importanti realizzati dal cinema italiano negli
ultimi anni: sfaccettato, complesso, colto, sorretto dal contributo
notevolissimo di interpreti (Germano, ovviamente, per primo) e cast
tecnico (molto belle ad esempio le musiche di Sascha Ring, che mescola
elettronica, piano e Rossini), è un’opera che dovrebbe essere introdotta
nelle scuole per rianimare stanche lezioni e smorte antologie. |