5 Marzo 2015
 
 
.::Il Giovane Favoloso::.
 
 

Regia: Mario Martone
Sceneggiatura
: Mario Martone, Ippolita Di Majo
Interpreti:
Elio Germano (Giacomo Leopardi), Michele Riondino (Antonio Ranieri), Massimo Popolizio (Monaldo Leopardi), Anna Mouglalis (Fanny Targioni Tozzetti), Valerio Binasco (Pietro Giordani), Paolo Graziosi (Carlo Antici), Iaia Forte (Signora Rosa)
Fotografia
: Renato Berta
Montaggio: Jacopo Quadri
Musica:
Sascha Ring
Distribuzione: 01
Durata: 137’
Origine
: Italia
Uscita
: 16.10 2014

 

L’eruzione del Vesuvio, in uno scenario di spettacolare suggestione, con il bagliore delle fiamme che squarcia l’oscurità della notte, accompagnata dalla voce di Elio Germano che recita i versi di una delle più sublimi composizioni di Giacomo Leopardi, La ginestra: questa è l’ultima, emozionante sequenza de Il giovane favoloso, il film scritto e diretto da Mario Martone a quattro anni di distanza dai consensi riscossi con Noi credevamo, e proiettato in concorso all’ultima Mostra del Cinema di Venezia. Un ritratto del magnifico poeta di Recanati, dallo “studio matto e disperatissimo” dell’infanzia e dell’adolescenza fino agli ultimi giorni di vita in una Napoli devastata dal colera, che aggira il didascalismo tipico delle convenzioni dei film biografici grazie alla sua capacità di esplorare la complessità della poetica leopardiana.
Il Leopardi ritratto da Martone è impersonato, va detto subito, da un Elio Germano misurato e ispirato, assolutamente ammirevole per il livello di intensità e di immedesimazione che sembra aver interiorizzato il dramma umano del poeta: la sua prova attoriale, aiutata da un lavoro sul corpo incredibile, a cominciare dalla postura e dalla camminata, è uno dei punti di forza del film, insieme alla colonna sonora, che unisce pezzi classici a musiche moderne, dando così la sensazione che non si stia parlando di un personaggio polveroso e confinato in una precisa epoca, ma di un uomo il cui vissuto ha valore universale.
Ma Il giovane favoloso, al di là del racconto biografico (dalle viuzze fredde e nebbiose di Recanati alle stanze della casa paterna, dal conflittuale rapporto fra un Giacomo ancora ragazzo e l’esigente padre Monaldo, all’origine del legame di ammirazione reciproca con lo scrittore piacentino Pietro Giordani, colui che per primo intravide l’enorme talento del giovane Leopardi) e delle fugaci (ma impeccabili) citazioni di alcuni tra i versi più celebri e significativi della produzione leopardiana, è un’opera in grado di distinguersi anche per l’encomiabile funzionalità di una messa in scena che aderisce quanto più possibile alla prospettiva del protagonista, innescando una tensione drammatica che scorre latente lungo tutto l’arco del film.
Martone è ben consapevole dei luoghi comuni che circondano Leopardi e della scarsa conoscenza della sua opera e, da artista sensibile quale è, ha trovato la miglior chiave di lettura possibile per rendere giustizia a una figura che merita di essere approfondita e amata: distaccandosi dal semplice biopic, che correva il rischio di essere troppo didascalico, il regista ha messo in scena la vita di Leopardi seguendo sì la sua biografia, alternandola però alla lettura di alcune delle sue opere più importanti accompagnate da immagini e visioni che sembrano scaturite direttamente dalla mente del poeta, come se sullo schermo fosse illustrato il momento della creazione della poesia.
Il film, anche se non è esente da imperfezioni (migliore la prima parte ambientata a Recanati, cala un po’ quando la scena si sposta a Firenze), è uno dei film più importanti realizzati dal cinema italiano negli ultimi anni: sfaccettato, complesso, colto, sorretto dal contributo notevolissimo di interpreti (Germano, ovviamente, per primo) e cast tecnico (molto belle ad esempio le musiche di Sascha Ring, che mescola elettronica, piano e Rossini), è un’opera che dovrebbe essere introdotta nelle scuole per rianimare stanche lezioni e smorte antologie.