9 Aprile .::La famiglia Savage::.  
 

Titolo Originale: The Savages
Regia: Tamara Jenkins          
Soggetto: Tamara Jenkins
Sceneggiatura: Tamara Jenkins
Fotografia: W Mott Hupfel III          
Montaggio: Brian A. Kates
Musica: Stephen Trask
Scenografia: Jane Ann Stewart
Costumi: David C. Robinson
Interpreti: Philip Seymour Hoffman (Jon), Laura Linney (Wendy), Philip Bosco (Lenny)
Produttori: Ted Hope, Anne Carey per Fox Searchlight Group
Distribuzione: 20th Century Fox
Durata: 114 minuti
Nazionalità: U.S.A. 2007

 

Accettare la normalità della vita. Quella di rapporti familiari difficili, di amori così così e di ambizioni un po’ frustrate.
La situazione si presenta ai due fratelli Savage, Jon (Philip Seymour Hoffman) e Wendy (Laura Linney) che la normalità devono affrontare in una forma davvero spiazzante: occuparsi del padre Lenny (Philip Bosco) colpito da demenza senile.
Sorella e fratello, entrambi sulla quarantina, sono due adulti immaturi che si proteggono dalla vita rifugiandosi all’ombra dell’arte, vivono in città diverse e si vedono raramente.
Lei, avvizzita, vive a New York, fa lavori saltuari, trascina una relazione con il vicino di casa sposato e affida tutte le sue speranze ad una commedia che ha appena finito di scrivere. Lui, acido, insegna lettere all’università, tenta da anni di completare una biografia su Brecht e nello stesso tempo si rifiuta di sposare la ragazza polacca con cui convive da anni anche se lei è a rischio di rimpatrio.
Un giorno una telefonata sconvolge la dimessa routine dei due: si tratta di prendere in carico l’anziano padre, un tipo irascibile ed egoista da tempo “fuggito” in una città per vecchietti sotto il sole dall’Arizona.
E’ proprio il padre a far ritrovare involontariamente i fratelli. Dove portarlo dopo l’improvvisa morte della sua compagna? Chi si prenderà cura di quel vecchio che con la sua trascuratezza ha contribuito a nevrotizzare i figli? Ora che è rimasto solo e senza casa, come non occuparsene?
Invecchiare stanca, morire è peggio ma anche durare troppo può essere difficile. E’ quello che succede alla famiglia Savage, Lenny è sempre stato un padre violento quasi sempre assente, ma il problema rimane: è vecchio, ha perso la testa, il controllo del proprio corpo e va accudito. Inizia così un viaggio tra case di cura, reciproche ripicche, un viaggio nella propria sofferenza. Per Jon e Wendy è ora di diventare adulti e proprio la malattia del padre con il suo contorno di angosce, li costringerà a guardare in faccia i lati meno felici della vita. Si può fuggire, si può fare finta di niente ma si può anche prendere consapevolezza che le cose cambiano.
Trattare della vecchiaia, della famiglia e della morte senza scadere nel melodramma è cosa ardua: ci riesce brillantemente Tamara Jenkins che, prodotta da Alexander Payne (che aveva già trattato il tema anni fa con “A proposito di Schmidt” con Jack Nicholson), firma un film interessante, coinvolgente e sincero. La parabola dei due perdenti è raccontata senza concessioni alla retorica e il loro rapporto con il padre morente è quanto di più realistico, crudo ed essenziale si sia visto da parecchio tempo a questo parte. La regista, candidata all’Oscar per la sceneggiatura, ci fa riflettere sulla difficoltà di fare i conti con la vita e sul film aleggia un’atmosfera cupa d’irrimediabile impossibilità a cambiare le cose della vita illuminata, fortunatamente, da lampi di graffiante ironia
Siamo di fronte ad un piccolo romanzo di crescita che l’autrice ha scritto e diretto in chiave di sottile malinconia venata di humour e senza mai cadere nel sentimentalismo che è stato presentato con successo al Sundance Film Festival (Premio miglio Sceneggiatura) e al Film Festival di Torino.
Efficace sulla carta, “La famiglia Savage” diventa memorabile grazie all’interpretazione di tre attori eccezionali. Philip Seymour Hoffman (Oscar per “Capote” visto l’anno scorso e candidato all’Oscar per “La guerra di Charlie Wilson” inserito in questa stagione del cineforum e innumerevoli altri premi) e Laura Linney (tre candidature all’Oscar e anche lei un numero incredibile di altri premi) sono senza dubbio alcuni tra i migliori attori della loro generazione, mentre la rivelazione per noi è Philip Bosco, leggenda del teatro americano e caratterista di straordinario talento che tratteggia, con una vena grottesca e ironica, un uomo cui restano pochi giorni da vivere, scorbutico e ben lontano dallo stereotipo di “nonnino gentile e affabile” cui il cinema ci ha abituato.
Un film che invita a riflettere sul valore della vita, sulla sofferenza da accettare, nonostante tutto, per amore, solo questo rende la vita degna di essere vissuta. Certamente è impossibile non rimanere coinvolti emotivamente e non immaginarsi un giorno a dover affrontare, sia come figli che come genitori bisognosi d’aiuto, una situazione simile.