23/1      NO MAN'S LAND

Titolo Originale: id.
Regia, sceneggiatura e musica: Danis Tanovic.
Fotografia: Walther Vanden Ende.
Montaggio: Francesca Calvelli.
Scenografia: Dusko Milavec.
Costumi: Zvonca Makuc.
Interpreti: Branko Djuric (Ciki), Rene Bitorajac (Nino), Filip Sovagovic (Cera).
Produzione: Marc Baschet ecc.
Distribuzione: 01.
Durata: 98’.
Origine: Bosnia\Slovenia\Francia\Belgio\G.B\Italia,2001.

   Premio oscar quale miglior film straniero del 2002 per quest’opera dell’esordiente trentaduenne Danis Tanovic che ha sorpreso tutti sbaragliando l’agguerrita concorrenza dell’acclamato ‘Favoloso mondo di Amelie’ diJ.P.Jeunet. La no man’s land alla quale il regista bosniaco allude è la ex-Jugoslavia del 1993 sventrata, come purtroppo sappiamo, dalla più tragica guerra civile\etnica di quello scorcio di fine secolo. Ciki e Nino, il primo bosniaco ed il secondo serbo, si ritrovano fortuitamente in una trincea abbandonata, terra di nessuno (ulteriore citazione del titolo) in mezzo alle prime linee degli schieramenti contrapposti; non sono soli, con loro troviamo anche Cera, bosniaco anche lui, che si trova incredibilmente disteso su di una mina pronta ad esplodere se qualcuno lo rimuove: un’esca umana! Dapprima i due si azzuffano, poi tentano disperatamente di negoziare la propria sopravvivenza. Un sergente francese dell’Onu interviene per districare l’impossibile matassa, mentre le TV internazionali si precipitano sull’evento come avvoltoi, trasformandolo in un cinico reality-show. Bisogna che passi del tempo perché, da una guerra, si possa ricavare una commedia: è accaduto col Vietnam ed ora accade con la guerra di Bosnia: ma, a ferite ancora aperte, No Man’s Land diventa una commedia nera, nerissima, che alterna il riso a denti stretti e la smorfia chiudendo con un finale da farti accapponare la pelle. Puro e purtroppo realistico teatro della crudeltà. Già  documentarista, Tanovic, non appare minimamente interessato a ripercorrere la storia del conflitto, quanto piuttosto a lavorare sulla messa in scena dello stesso che, a partire dalla contingenza bosniaca, sembra mirare ad una riflessione più ampia sull’assurdità della guerra. Tutto questo in un continuo slittamento di registro narrativo, dal tragico al grottesco, dal realistico al surreale con la conseguenza evidente da un lato di spiazzare continuamente lo spettatore e dall’altro di concludere che è impossibile una visione omogenea ed uniforme sulla complessità del conflitto bosniaco. “Un popolo di pazzi”, ripetono più volte i francesi dell’Onu, ma lo spettatore a quel punto del film non sa se condividere lo stupore degli ‘europei’ di fronte ad una lotta fratricida che appare insensata o la perplessità dei ‘balcanici’ di fronte all’incapacità e all’inutilità di chi dovrebbe garantire la pace. Sottolineato con la dovuta maestria anche il tema del ‘circo’ delle televisioni impegnate a coprire l’evento narrato, come del resto tutta la guerra; il mito della diretta e dell’aggiornamento continuo che fa vedere di più e meglio viene consapevolmente distrutto dal film, che non si limita a riflettere sull’assurda illusione di poter documentare senza di fatto modificare la realtà che si mostra, ma constata ancora una volta che la notizia è una merce, che segue  regole e traiettorie ben diverse da quelle di chi, volente o nolente, è oggetto di notizie. In fondo Tanovic ci invita a riflettere, da bravo ex documentarista, sulla presunzione di chi produce e consuma immagini accontentandosi di ciò che vede, senza chiedersi cosa resta fuori campo o, ancora di più, ciò che non è possibile mostrare!

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