19 Gennaio 2012
 
 
.::Un Gelido Inverno::.
 
 

Titolo originale: Winter’s Bone.
Regia: Debra Granik.
Soggetto: tratto dal romanzo ‘Un gelido inverno’ di Daniel Woodrell (Fanucci Editore).
Sceneggiatura: Debra Granik, Anne Rosellini.
Fotografia: Michael McDonough.
Montaggio: Affonso Goncalves.
Musica: Dickon Hinchliffe.
Scenografia: Mark White
Costumi: Rebecca Hofherr.
Interpreti: Jennifer Lawrence (Ree), John Hawkes
(Teardrop), Kevin Breznahan (Arthur), Dale Dickey (Merab), Garret Dillahunt (Sceriffo Baskin), Sheryl Lee (April), Lauren Sweetser (Gail), Tate Taylor (Satterfield).
Produzione: Anne Rosellini e Alix Madigan Yorkin per
Winter’s Bone Productions/Anonymous Content.
Distribuzione: Bolero Film.
Durata: 100’.
Origine
: Stati Uniti d’America, 2010.

 

Candidato all’Oscar come miglior film, vincitore del Gran Premio della Giuria al Sundance Festival e del Torino Film Festival, Un gelido inverno è un film coraggioso e un po’ scomodo. Ambientato in un’America di provincia cupa e selvatica, racconta la storia di Ree, una ragazzina di diciassette anni costretta a crescere in fretta, con la madre inferma e due fratellini sulle spalle, un padre spacciatore e pregiudicato che è sparito nel nulla dopo aver lasciato in pegno per la cauzione la casa in cui vive a stento la sua famiglia. Adesso la figlia ha pochi giorni per ritrovarlo e convincerlo a presentarsi al processo, per evitare di finire tutti a morire su una strada: ma appena comincia a far domande in giro, subito s’imbatte in un’ostilità cruda e violenta, in una legge montanara del sangue e del crimine che rischia di farle fare una brutta fine.
Ottima prova della giovane e semi-sconosciuta Jennifer Lawrence (candidata all’Oscar anche come miglior attrice protagonista) che in questo film regala il suo viso radioso e lo sguardo feroce alla ragazza che ha saltato l’adolescenza e adesso è una piccola donna dura, nervosa, decisa. Tutti gli uomini che la affrontano, compreso lo zio inquieto, sembrano volerle mettere le mani addosso, ma questa sensazione svanisce subito contro la personalità che Ree pianta di fronte a tutti. E’ come se operasse un sortilegio di eliminazione della bellezza, grazie alla capacità di spostare lo sguardo del nemico su un altro piano, più paritario e minaccioso. E’ lei a tenere le file della storia e di tutto il film della regista Debra Granik, al suo secondo lungometraggio. Protagonista di questo film è anche l’America, precisamente il Missouri, dove questa storia è ambientata, un luogo inospitale e gelido in cui regna l’indifferenza
delle persone. La Granik disegna questi posti attraverso percorsi tortuosi, mettendo la ragazza sempre al centro di un paesaggio abitato da malviventi e persecutori, suonatori di country e omertosi, personaggi rassegnati e rapiti dalla noia. A poco a poco emergono le mille facce di un territorio ostile, grigio, senza pace, rancoroso.
In questo film il viaggio non è “poesia”, come spesso siamo abituati a vederlo rappresentato sul grande schermo. Qui il viaggio di Ree nasce dal bisogno; bisogno di scoprire che fine ha fatto suo padre, per non perdere tutto ciò che le rimane e poter continuare a lottare per la sopravvivenza della sua famiglia.
Attraverso una storia di oggi, il film mostra, senza neanche troppo cinismo, il volto di un’America che non ci si aspetta e che ricorda il vecchio west, dove vige(va) la legge del più forte e non si vive(va) senza un fucile pronto a sparare. È l’America lontana dalla modernità e dalla cultura del presente, dove il tempo sembra essersi fermato e non offre vie di fuga.
Debra Granik dirige un film memorabile, ispirato e disperato, gelido come l’inverno del titolo, una favola nera colma di pathos e di tensione, che coinvolge lo spettatore e lo rende partecipe del doloroso coraggio di Ree e del suo viaggio compiuto per amore.
Un piccolo film che è anche un affresco sociale, curato nei minimi dettagli, dai dialoghi scarni ed essenziali e da una colonna sonora ridotta ai minimi termini, con un titolo italiano che addolcisce quello originale: Winter’s Bone, “Ossa d’inverno”. Le fragili ossa spezzate dal gelo d’inverno, prima che qualcuno le spezzi davvero.